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La sindrome coronarica acuta (SCA) rappresenta una delle emergenze mediche più frequenti e gravi nei paesi sviluppati. Secondo le ultime stime epidemiologiche, in Italia ogni anno si verificano circa 130.000 casi di infarto miocardico acuto (IMA), con una prevalenza leggermente superiore negli uomini rispetto alle donne, soprattutto nelle fasce d’età avanzate. Tuttavia, un fenomeno emergente è l’aumento dei casi di SCA tra le donne più giovani, attribuito a fattori di rischio come il fumo e l’obesità; la mortalità intraospedaliera per SCA è diminuita negli ultimi decenni grazie ai progressi nelle strategie diagnostiche e terapeutiche.
Fisiopatologia della sindrome coronarica acuta
La sindrome coronarica acuta comprende un insieme di condizioni che derivano dall’ischemia miocardica acuta, che può variare dall’angina instabile all’infarto miocardico con o senza sopraslivellamento del tratto ST all’elettrocardiogramma (STEMI o NSTEMI). Il comune denominatore fisiopatologico di queste condizioni è l’interruzione del flusso sanguigno coronarico, principalmente dovuto alla rottura di una placca aterosclerotica e alla successiva formazione di un trombo.
La patogenesi della SCA inizia con l’aterosclerosi coronarica, un processo infiammatorio cronico caratterizzato dall’accumulo di lipidi, cellule infiammatorie e tessuto fibrotico all’interno delle pareti arteriose. Quando una placca aterosclerotica si rompe, il materiale lipidico e pro-trombotico esposto attiva la cascata coagulativa, portando alla formazione di un trombo che può occludere parzialmente o completamente l’arteria coronaria. In risposta all’occlusione, la regione miocardica a valle dell’ostruzione subisce ischemia, con conseguente sofferenza e morte cellulare se l’occlusione persiste. La gravità dell’infarto dipende dall’entità e dalla durata dell’occlusione, nonché dal territorio miocardico interessato. Nei casi di STEMI, l’occlusione è solitamente completa e coinvolge l’intero spessore della parete miocardica (infarto transmurale), mentre nei NSTEMI l’occlusione è parziale e il danno è limitato a una porzione del miocardio (infarto subendocardico).
Diagnosi e trattamento della sindrome coronarica acuta
Il riconoscimento tempestivo della SCA è cruciale per migliorare la prognosi. La presentazione clinica tipica include dolore toracico oppressivo, spesso irradiato al braccio sinistro, al collo o alla mandibola, associato a sudorazione, dispnea e nausea. Tuttavia, è importante considerare anche presentazioni atipiche, particolarmente comuni nelle donne, negli anziani e nei diabetici.
Appare quindi chiaro che un’accurata anamnesi sia fondamentale, assieme all’esame obiettivo, l’elettrocardiogramma (ECG) e i marcatori biochimici di necrosi miocardica come la troponina. L’ECG è fondamentale per distinguere tra STEMI, caratterizzato da sopraslivellamento del tratto ST, e NSTEMI/angina instabile, che può presentare sottoslivellamento del tratto ST, inversione dell’onda T o alterazioni minori dell’ECG.
Il trattamento varia a seconda del sottotipo. Nei pazienti con STEMI, la riperfusione immediata tramite angioplastica coronarica primaria (PCI) è la strategia di scelta, associata a una terapia antitrombotica aggressiva. Quando la PCI non è disponibile entro 120 minuti, la trombolisi sistemica può essere considerata.
Nei casi di NSTEMI e angina instabile invece, la gestione iniziale prevede la stabilizzazione emodinamica e la stratificazione del rischio, utilizzando strumenti come il punteggio GRACE. La terapia include antiaggreganti (aspirina e inibitori del recettore P2Y12), anticoagulanti (eparina o fondaparinux) e, se indicato, la coronarografia seguita da eventuale rivascolarizzazione. Inoltre, tutti i pazienti con SCA beneficiano di una gestione farmacologica a lungo termine per ridurre il rischio di recidive, che include statine ad alte dosi, ACE-inibitori o sartani, beta-bloccanti e, se indicato, antagonisti dell’aldosterone.
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Ottobre 2024 © Trenta e Due
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